martedì 16 ottobre 2007

COME CHIAMIAMO IL NOSTRO BAMBINO













E' di pochi giorni fa la notizia che una coppia di genitori cinesi avrebbe deciso di chiamare il proprio figlio "@", un nome, che dicono, avrebbe un significato ben più profondo di quanto si potrebbe pensare. In Cina, come anche nella maggior parte dei paesi anglofoni, quella che noi chiamiamo comunemente chiocciola viene letta "at" e pronunciata dai cinesi "ai ta", che nella traduzione suonerebbe come "ama lui". Dunque, una parola scelta dai genitori per richiamare il concetto di amore. Di sicuro c'è che il governo cinese ha annunciato da quest'anno un provvedimento di legge che impedirà di utilizzare caratteri alfanumerici nei nomi propri ed imporrà unicamente l'utilizzo di ideogrammi appartenenti al cinese mandarino e ad altri linguaggi minori parlati nel Paese. Così in attesa di sapere se le autorità permetteranno alla stravagante coppia di coronare il suo bislacco sogno, abbiamo tutto il tempo di porci una domanda: "Perché questa sfrenata necessità di utilizzare nomi originali, astrusi o totalmente insensati?". Una prima risposta potremmo ritrovarla nel particolare momento storico che stiamo vivendo, dove per combattere la tendenza all'omologazione si ricorrerebbe a denominazioni uniche e, se possibile, irripetibili. Il discorso sarebbe valido se non fosse che tra i principali cultori di questa nuova mania ci sono molte persone che per distinguere se stesse e i propri familiari non hanno certo bisogno di nomi ad effetto: i vip. Arriva da Londra l'accorato appello della figlia di Bob Geldof (cantante e attivista) che ha dichiarato alla stampa di essere stufa di questa moda "di dare nomi assurdi ai figli". Una denuncia giustificata visto che la figlia di sir Geldof si chiama Peaches ('Pesche') e il suo nome completo è Peaches Peaches Honeyblossom Michelle Charlotte Angel Vanessa. Una scelta che, ha aggiunto, le avrebbe reso la vita impossibile. Eppure di casi simili ne esistono molti: c'è Apple ('Mela'), figlia di Gwyneth Paltrow e del cantante Chris Martin; ci sono Brooklyn, Romeo e Cruz, pargoli di David e Victoria Beckam; c'è Assisi, la nipote di Mick Jagger; e c'è addirittura Kal-el, figlio di Nicholas Cage, che porterà per sempre tatuato addosso il nome kryptoniano di Superman. Ma suggerire il nome giusto può anche diventare una professione: i cosiddetti nomologhi sono dei professionisti che, come Maryanna Korwitts, possono arrivare a chiedere notevoli cifre (da 150 dollari per l'idea di un nome a 350 dollari per una perfetta armonizzazione di nome e cognome) per indirizzare gli incerti futuri genitori. La Korwitts, per arrivare a un nome di solito incontra i suoi clienti in quattro momenti diversi, e la sua tecnica si basa su un vero e proprio interrogatorio sulle qualità principali che il nascituro dovrà incarnare. Secondo Albert Mehrabian, professore emerito di Psicologia all'Università di Los Angeles e autore del libro "Pagelle sui nomi dei bambini", ha sostenuto sul Times che oggi i genitori si aspettano moltissimo da un nome e che lo trattano come fosse un marchio esattamente come accade per le griffe delle società. E l'autrice dei bestseller di nomi per bambini, Pamela Satran, gli fa eco: "La gente si è accorta del potere racchiuso in un nome e sempre di più vuole nomi che siano diversi e inusuali". Nel manicomio "nominale", dove si stilano classifiche per identificare quali nomi siano più adatti per intraprendere determinate carriere, l'Italia ha ancora qualche regola anagrafica. Esistono divieti per l'imposizione dello stesso nome del padre vivente (per intenderci non è ammesso nemmeno il Jr, tipicamente statunitense), di un fratello o di una sorella viventi. Non è possibile neppure dare un cognome come nome, o nomi cosiddetti "ridicoli e vergognosi". Sparito, invece, il divieto per i nomi geografici, che peraltro, in molti casi (Italia, Europa, America, Asia), è sempre stato poco applicato.

di Simone Rossi

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