martedì 16 ottobre 2007

FILM DEL MESE








Esiste un Paese che ogni giorno si impegna a esportare la democrazia nel mondo. In questo Paese ciò che conta è sentirsi liberi, quello che interessa ogni suo abitante è che lo Stato se ne resti al suo posto. In America la sanità pubblica non esiste: poche enormi compagnie assicurative si spartiscono la responsabilità di finanziare le cure di cui la popolazione ha bisogno. Non di tutta, però. Michael Moore ce lo dimostra, subito, raccontandoci le storie quotidiane di persone alle quali sconosciuti colletti bianchi negano questo diritto. Ogni giovane americano che chieda di poter pagare per farsi la sua assicurazione rischia, come dopo una visita militare, di essere riformato perché troppo alto o troppo magro, troppo grasso o troppo basso. C’è una famiglia intera che non avrà la sua copertura: la ragazza che si occupa del loro caso conosce il loro destino ancora prima che questi si presentino all’appuntamento del mattino. Così l’America ignora un’enorme fetta di popolazione. In questo senso Sicko non dà scampo: racconta di un Paese in cui farsi riattaccare la prima falange del dito medio della mano può costare anche 60mila dollari; di un sistema dove esiste l’assoluta necessità di ridurre il numero degli individui da tutelare. E non solo. Perché dopo la prima scrematura (milioni di persone) i fortunati che otterranno l’accesso alla previdenza privata non avranno certo vita facile. E la spiegazione è molto semplice: gli enti preposti al servizio hanno interessi esclusivamente economici. Le grandi compagnie assicurative hanno bisogno di massimizzare i guadagni e per farlo devono puntare a finanziare le necessità reali di quanti meno assicurati possibili. Per farlo si avvalgono di medici il cui primo obiettivo non è più quello di curare i malati quanto quello di negare le cure procurando i minori danni possibili. Un sistema distorto, malato per l’appunto, che non sa neppure decifrare il concetto di solidarietà sociale. Ci prova il regista, prima sconfinando in Canada, e poi volando oltreoceano, fino in Inghilterra e in Francia, tentando di capire quale alchimia possa spingere ciascun singolo individuo a pagare per la salute del proprio vicino. All’estero tutto sembra funzionare bene, e in questa parte della pellicola Moore sembra davvero troppo indulgente. Ma se pensiamo che i primi destinatari del messaggio sono proprio quegli americani che della previdenza pubblica non ne sanno nulla, allora possiamo pure capire l’intenzione del regista. Michael Moore è e resta un provocatore, uno che per denunciare le mille anomalie del sistema americano, in molti casi è arrivato a forzare la verità. Eppure, nel Paese che crede di esistere per investitura divina e dove vale ancora la netta dicotomia tra Bene e Male, giocare con le sfumature sarebbe controproducente. Moore questo lo sa, perciò veleggia fino a Guantanamo per chiedere che ai volontari ammalatisi con i fumi dell’11 settembre sia offerto un trattamento sanitario perlomeno simile a quello dei terroristi detenuti; per questo ignora le mille imperfezioni del Miracolo Cubano, ma di fronte all’efficienza del suo sistema sanitario si domanda se non sia il caso di emigrare nella terra di Fidel.

di Simone Rossi

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